La verità giornalistica e i suoi surrogati
Verità, obiettività e fake news: siamo pronti a un dibattito serio sull’essenza del giornalismo?
Prof. Norberto González Gaitano, Docente di Opinione pubblica, Pontificia Università della Santa Croce
- La crisi di credibilità del giornalismo
Di crisi di affidabilità del giornalismo sento parlare da quando, alla fine degli anni settanta, ero studente di Giornalismo nel primo Istituto Universitario dell’Europa, fondato nel 1959 nell’Università di Navarra (Spagna). Meno di un secolo fa diceva un umorista francese, Fourchadier, che vi sono due professioni al mondo che non richiedono preparazione, l’attività dei banchieri che giocano con il denaro altrui e l’attività dei giornalisti che giocano con la reputazione dei loro concittadini.
Oltre le facili ironie e battute sul giornalismo, che non sono mai mancate, resta sempre pur vero che il buono e il cattivo giornalismo vi hanno convissuto assieme, già da quando esiste la professione, con indipendenza che del suo riconoscimento formale dalle leggi, cosa che non avviene fino al 900 nei paesi occidentali. Non vale qui il famoso detto che afferma come la moneta buona scaccia quella cattiva. E la negazione dell’asserto popolare vale per entrambe le professioni, banchieri e giornalisti, come ben esperimentiamo dall’esplosione della crisi economica nel 2008. Incidentalmente, non è una coincidenza storica che le sorti di entrambe le professioni corrano parallele. Sicuramente per questo, i problemi di affidabilità del giornalismo si sono accresciuti ultimamente, come mostro di seguito.
- Lo provano alcuni studi recenti, che cito senza entrare nel merito metodologico di ciascuno: Secondo il Edelman Trust Barometer Global Report (2019), un 73% degli intervistati sono preoccupati dell’uso delle notizie false come arma politica[1]. Dati più recenti dello stesso Istituto segnalano che “a diminuire è anche l’affidabilità dei media tradizionali e dei social, preoccupati solo di guadagnare likes e audience (…) Circa il 76% degli intervistati dichiara di temere la diffusione di fake news e la loro strumentalizzazione. A livello globale solo il 26% delle persone presta attenzione all’igiene dell’informazione. Gli italiani sono tra i più attenti a questo aspetto: circa il 35% dichiara di acquisire notizie in modo regolare e di verificarne l’attendibilità prima di condividerle.”[2]
Nel 2009 il 15% dei giovani italiani sotto i 30 anni attingeva a Facebook, Youtube e altre reti sociali per informarsi; oggi lo fanno il 63%; e, mentre il 56% dubita della credibilità delle notizie su quelle reti, una minore percentuale (34%) dubita sull’affidabilità delle notizie riportate sui media tradizionali[3].
Secondo Michael Haller, direttore del Research Department della Hamburg Media School, sono queste le accuse principale della perdita di credibilità dei media europei: “declino della capacità di ricerca da parte dei giornalisti, troppe opinioni e pochi fatti, corsa agli introiti pubblicitari moltiplicata dalla facilità di controllare l’attenzione del pubblico misurata in click e poca diversità dal media mainstream[4]..
- Gli eventi politici del 2017 che scatenarono il dibattito sulle fake news non sono sicuramente alieni alla “esplosione della sfiducia” nei mass media: referendum sulla Brexit (23 giugno), referendum sul processo di pace in Colombia (2 ottobre), elezioni di Trump (8 novembre). Incidentalmente, va ricordato l’origine di un termine diventato virale (fake news), che dimostra l’effetto boomerang della propaganda politica: Una azienda non profit di comunicazione al servizio della campagna del partito democratico nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti creò il termine per screditare il candidato Trump chi, a sua volta, se ne appropriò a furore di ripeterlo contro gli argomenti che cercavano di screditarlo[5].Internet e le reti sociali, specie Facebook, stanno diventando il capro espiatorio del problema come dimostra la vicenda di Cambridge Analytics, anche se di colpe ne abbiano tutti i giganti dell’Internet..
- Ma le avvisaglie della crisi erano già presenti prima, come evidenziò il fallimento della copertura “informativa” della seconda Guerra del Golfo e gli effetti sulle ammiraglie del giornalismo anglosassone. Le principali testate del giornalismo americano dovettero scusarsi dinanzi ai loro lettori e riformare le guidelineseditoriali allo scopo di rafforzare gli standards di buona prassi professionale “The New York Times, Report of the Committee on Safeguarding the Integrity of Our Journalism”. 07.2003; “Preserving Our Readers Trust. A Report to the Executive Editor”, 9.05.2005; “The Guidelines we Use to Report the News”, Washington Post, 7.03.2004. Nel 2004, Lord Hutton rese pubbliche le conclusioni di una inchiesta parlamentare indipendente sull’operato della BBC nei confronti delle azioni del governo Blair nel preparare l’opinione pubblica britannica per intervenire nella guerra del Golfo: Kelly, consulente del Ministero della Difesa britannico e fonte principale di Gillighan, il giornalista che accusò a Blair di mentire all’opinione pubblica, si era suicidato. La BBC fu accusata di parzialità e i suoi dirigenti si dimisero. Allora si inizia un processo di riforma della Charter (la prerogativa regale accordata fra il Governo e la BBC) dell’emittente pubblica britannica che si concluderà nel 2007[6].
In definitiva e come sentenziò il Report sullo stato di salute della stampa americana nel 2004, “la maggior parte degli investimenti del giornalismo attuale viene destinata alla distribuzione delle notizie, non alla raccolta” e, inoltre, “coloro che manipolano la stampa e il pubblico sembrano accrescere la loro possibilità di influenza sui giornalisti”(The State of the News Media 2004, www.journalism.org). A giudicare i risultati a distanza di quindici anni, sembra che la riforma delle guidelines abbia avuto l’effetto di un lifting etico, una operazione di pubbliche relazioni mal riuscita.
- I surrogati della verità
- a) Obiettività e obiettivismo
– David T. Z. Mindich (1998). Just the Facts. How Objectivty Came to Define American Journalism, New York University Press
– Code of the Society of Professional Journalist in the US in 1996 cancella il dovere di obiettività, e già nemmeno compare nella 2006 Charter della BBC
– Robert L. Bartley. “Thinking Things Over. The Press: Time for a New Era”. The BBC and New York Times scandals show that “objectivity” is dead (WSJ, 28.07.2003)
(slides sul caso Charlie Hebdo)
- b) La verità come costrutto, ovvero la verità procedurale (Wikipedia)
– Instance of the “ideology of openness”, one of the sacred cows of the Internet culture.
– Nathaniel Tkacz propone una critica acuta di Wikipedia, smantellando alcuni dei suoi principali pilastri e principi: il principio di verificazione (una voce esiste solo se c’è una fonte verificabile da citare); il principio della neutralità (in caso di conflitto tra più voci, tutte le versioni devono essere presentate e si deve scegliere la versione più neutrale); il presupposto che una voce deve poter essere gestita in modo collaborativo tra gli utenti (ad-hocracy, che è l’esatto contrario di meritocrazia o di burocrazia); e, infine, il principio di apertura dell’intero progetto (l’enciclopedia), inteso come la possibilità di replicare l’impresa da chiunque dissenta della direzione di rotta in corso d’opera e quindi avvalendosi del lavoro fin lì fatto, proprio perché l’impresa è collaborativa e quindi “di tutti”.
– Mentre l’idea di una verità esterna è espressamente e rigorosamente rifiutata, la soglia per includere qualcosa in Wikipedia è solo la sua verificabilità tramite fonti, non la sua verità oggettiva e intrinseca [Wikipedia: Verifiability]. Wikipedia alla fine non è altro che un “sistema solido di asserti, la cui funzione principale è quella di stabilire la verità di una dichiarazione; una verità che deve essere neutrale, non originale, pubblica, affidabile e sempre verificabile. È quindi un insieme di regole scritte, che delimitano le procedure corrette da seguire, che stanno alla base dell’intero progetto” (p. 110). In altre parole, la verità è una costruzione sociale, di indole discorsiva ed in continua evoluzione, ma non è qualcosa che si trova o che si scopre.
– il pensiero filosofico dei fondatori di Wikipedia, Jimmy Wales e Larry Sanders. Larry Sanders ha fatto la sua tesi di dottorato su “Circolarità epistemologica: un saggio sul problema della meta-giustificazione”, e la voce su Wikipedia di Jimmy Wales, nella sezione “Il pensiero e le influenze”, rende chiaro che si tratta di un “oggettivista” discepolo convinto di Ayn Rand.
Il caso di Meredith Kercher, un evento di cronaca italiana con impatto mediatico internazionale, vede la studentessa inglese trovata morta nel novembre 2007 nella sua camera da letto a Perugia, dove era in visitanell’ambito del progetto Erasmus presso l’Università di Perugia. L’omicidio è stato attribuito a Rudy Guede con una condanna definitiva. Il processo è stato travagliato, con Amanda Knox e Raffaele Sollecito inizialmente condannati in primo grado come concorrenti nell’omicidio, per poi essere assolti e condannati nuovamente in iter giudiziario successivo, finendo infine per essere entrambi assolti nel 2015 dalla Corte di Cassazione. Questo caso ha attirato l’attenzione a livello internazionale, soprattutto nel mondo anglosassone, a causa dellenazionalità coinvolte.
Silvano Petrosino commenta la “costruzione di una notizia” durante un servizio del telegiornale della RAI 2 riguardante la prima sentenza assolutoria di Amanda Knox e Raffaele Sollecito:
“la ‘notizia’ d’apertura sulla sentenza, attesa per la serata, dura dodici minuti (…) Durante quei lunghissimi minuti si è detto di tutto ma anche di niente; in effetti la notizia non c’era, non si è data alcuna nuova, ma si annunciava, creando e incrementando l’attesa, una prossima notizia (…) E parte la registrazione, con il risultato che il telegiornale non parla più dell’omicidio di una ragazza, ma, annunciando che parlerà ancora quando si conoscerà la sentenza (futuro), si mette a parlare (presente) di come aveva parlato (passato). In questo modo si saturano tutti gli spazi e tutti i tempi…Informazione vorace, che vuole stare sempre sulla scena. All’interno di questo gioco di prestigio Amanda Knox, Raffaele Sollecito ma soprattutto Meredith Kerchner giocano un ruolo assolutamente secondario: non sono altro che un pretesto per la redazione di una grande testo di magia.” [7]
Imparzialità, neutralità o “semplice“ verità?
Il primo dei surrogati della verità, l’obiettivismo, come correttamente identificato da Galdón in questa distorsione del termine “obiettività”, deve essere giustamente respinto, e l’obiettività deve essere ripristinata nel suo vero significato. È un termine comune nel linguaggio quotidiano che indica l’equanimità di giudizioderivata da uno sguardo aperto alla realtà, uno sguardo che non trascura alcun dato a priori, anche quelli che potrebbero non essere graditi. Questa è fondamentalmente una richiesta di onesta ricerca della verità.
L’obiettivismo riduce l’obiettività a un meccanismo di routine nell’attività giornalistica[8], una mera tecnica testuale che si impara rapidamente. Raggiungere quella “sostanziale adeguatezza di tipo retorico-narrativo al fatto”, come definito da Fumagalli e Bettetini[9], va ben oltre una mera strategia testuale.
In fondo, la comprensione giornalistica dell’obiettività si è sviluppata in due tendenze, due poli che vengono talvolta scambiati come se fossero identici: la neutralità e l’imparzialità.
La neutralità significa e implica indifferenza verso i valori, considerando tutti i valori come uguali. La conseguenza logica è che nessun valore è veramente tale, conducendo alla negazione di tutti, un approccioche potremmo giustamente definire nichilismo. La conclusione è chiara: non si può mai essere neutrali.
Quando ci si riferisce all’obiettività come “fairness”, si parla effettivamente di neutralità assiologica.
Va comunque fatta un’opportuna precisazione sul valore prudenziale della “fairness” nelle controversie. Fino a quando non c’è un riscontro sulla verità di una delle parti, sembra prudente offrire ad entrambe la possibilità di esprimere la propria versione. Tuttavia, è essenziale considerare questa prudenza come una “clausola di stile etico”, non come una garanzia automatica di obiettività o veridicità. Invocare tale clausola può essere l’unico mezzo per esprimere la verità di una parte quando non ci sono altre vie per far chiarezza. Questo va però distinto dalla sincerità. In questo contesto, si collega un secondo concetto correlato agli altri due: il concetto di imparzialità.
Imparzialità: Il termine deriva dall’amministrazione della giustizia e si riferisce alla condizione del giudice, colui che amministra la giustizia al di sopra delle parti. Si tratta quindi di un prerequisito per l’amministrazione della giustizia, una garanzia che può consentire di raggiungerla. Tuttavia, alla fine, il giudice emette una sentenzasulla pretesa che ritiene giusta, appartenente a una delle parti.
Da qui deriva il valore della virtù soggettiva dell’imparzialità, dell’essere equilibrati e equanimi. L’imparzialitàpuò essere acquisita o coltivata, e anzi, per cercare la verità è necessario essere e mostrarsi imparziali.
I tentativi falliti di ripristinare l’obiettività
Questa tensione tra i due poli spiega perché, dopo la demolizione accademica dell’oggettività avvenuta due decadi fa e alla luce dei disastrosi risultati delle arbitrarietà “costruzioniste” delle notizie, ci sia stato un tentativo di riabilitare l’obiettività. Un esempio è l’opera di Steven Maras: Objectivity in Journalism[10].Secondo Maras, che esamina gli argomenti a favore dell’oggettività, “ciò che è evidente è che qualsiasi semplice rifiuto dell’oggettività è complicato”.
Complessivamente, Maras ha ragione. L’obiettività è importante, conta ancora per i professionisti: oltre l’80% dei giornalisti negli Stati Uniti, in Australia, nel Regno Unito, in Germania e in Italia ha dichiarato che “è molto importante essere il più obiettivi possibile”, secondo indagini condotte nel progetto Media e Democrazia neglianni ’90[11], anche se non tutti hanno un quadro o una definizione chiara di cosa sia l’obiettività. È importante anche per gli studiosi, come sottolinea lo stesso Maras: “[L’obiettività, tuttavia, è] una pietra di paragone etica impopolare”.
Dopo un lungo e persistente lavoro di demolizione accademica della nozione di oggettività, in seguito allarottura di Nietzsche della grande narrativa dell’Illuminismo compiuta dagli eredi del genio tedesco del sospetto (costruttivisti, decostruzionisti e relativisti vari…), qualcosa che punti al ‘mondo esterno’ è ancora cercato dai giornalisti, come afferma l’ex direttore della BBC Thompson, citato da Maras:
“(l’obiettività) è critica (l’obiettività è necessaria) perché accettiamo che i fatti ci giungano mediati attraverso una narrazione e delle ipotesi complesse e che ognuno di noi deve usare sia un’analisi sofisticata che un giudizio individuale per dar loro un senso, ma è realistica perché crediamo che sia ancora possibile – anzi, è nostro dovere – arrivare ai fatti e formarci una visione il più possibile obiettiva e accurata del mondo”.
III. Tornare al realismo
Le aspirazioni dei giornalisti
La soluzione al problema, a mio avviso, non è il recupero dell’obiettività, anche se in una forma meno “ingenua”. La soluzione è tornare al realismo veritativo[12], parlare senza ambagi né paure della verità, della possibilità della mente umana di conoscerla e raccontarla. Altrimenti, non si esce dal vicolo cieco di una epistemologia difettosa o insufficiente. Maras, coerentemente con le sue premesse epistemologiche, afferma che “l’obiettività non deve essere legata all’idea di una realtà che esiste indipendentemente dalla nostra mente” (l’enfasi è mia). Certamente, l’oggettività non ne ha bisogno; la verità ne ha bisogno disperatamente. La questione è che l’oggettività era (ed è) un povero surrogato della verità.
Dopo tanti anni di decostruzionismo, avremmo dovuto imparare la lezione. La domanda è se avremo il coraggio di andare oltre, cioè di tornare alle fonti: Aristotele e il recupero dell’epistemologia aristotelica negli autori del XX secolo, a cominciare dalla filosofia analitica, ciò che proprio manca nelle spiegazioni di Maras: Anscombe, Searle, McIntyre, ecc. McIntyre in particolare non può essere ignorato, poiché è il primo nella tradizione inglese a confutare la divisione epistemologica humeana di Hume: la separazione fra “is-ought” judgements.
Certamente, la persona che conosce e la cosa conosciuta non costituiscono una coppia binomiale semplicistica, ma sono correlate, intrecciate e si influenzano reciprocamente. Possono anche essere differenziate, distinzione che applichiamo costantemente nella vita di tutti i giorni, specialmente quando giudichiamo la comprensione dei fatti da parte degli altri o correggiamo la nostra comprensione basandoci sulla mancanza di prove. Questo processo avviene spontaneamente nel giornalismo, senza che sia necessario fare ricorso a regole epistemologiche o linee guida editoriali: è la grammatica spontanea del giornalismo.
Riguardo alla mia critica precedente, il dibattito sull’obiettività è, in ultima analisi, un problema che rientra nei confini del positivismo, nella matrice illuminista che ha caratterizzato il giornalismo dalla sua nascita fino ad oggi. Galdón, più volte citato, aveva già dimostrato ciò prima dell’avvento di Internet, e la sua diagnosi rimane valida, poiché la tecnologia ha semplicemente moltiplicato senza limiti le possibilità di informare o disinformare da parte dei detentori del potere nei media.
Maddalena e Gili[13] (2017) hanno dimostrato a sufficienza che il recente dibattito sulla post-verità e sulle fake news, scaturito da eventi inaspettati come Brexit, l’elezione di Trump e il referendum sulla pace in Colombia, non è altro che la nuova veste di un vecchio problema.
Il dibattito sulle fake news e sulla post-verità, così come quello sull’obiettività, se vuole essere serio e produttivo, e non una mera arma strumentale per delegittimare l’avversario con argomenti ad hominem, deve tornare a concentrarsi sulla verità, sulla nostra capacità di raggiungerla e raccontarla, sia essa filosofica o religiosa, sia la più minuta e umile verità giornalistica.
Il racconto del sesto giornalista
Il professore Brajnovic, un giornalista croato esiliato in Spagna nel 1944 perseguitato prima dai fascisti e poi dai comunisti, e successivamente docente nella prima Scuola Universitaria di Giornalismo in Europa, ha delineato il profilo del “sesto giornalista” in una celebre sua conferenza. Riproduco le sue parole, in cui, in contrasto con i cinque aspiranti giornalisti, emergono le virtù e i vizi del giornalismo:
“Il sesto giornalista è colui che lotta per conquistare o conservare il suo posto. Esiste, lavora, soffre ed è consapevole del proprio dovere. Si denomina giornalista indipendente, il che non significa privo di criterio o di ideali. Al contrario, in realtà, lo si può semplicemente chiamare giornalista, senza alcun particolare aggettivo. Non è trionfalista, né fanatico né egoista; è invece un sognatore, ed anche un po’ poeta, ed affonda le sue radici nei concetti proprio della professione. Sa che in tutte le tappe e in tutte le sue dimensioni, il giornalismo ha molto di valido e di buono, forse in grado maggiore che in altre professioni. Questo giornalista è disposto a imparare, dai cinque che lo precedono, tutto il possibile e tutto ciò che può servire. Talvolta, quanti ho definito conservatori, lo richiamano alla responsabilità; i progressisti lo invitano allo sforzo, per non invecchiare tra carte e raccoglitori; gli anonimi – per contrasto – gli chiedono di appoggiarli in un giustificabile e giustificato ottimismo, contrario all’astio e all’indifferenza; i contestatori lo mettono in guardia contro l’assurdo rappresentato del neo trionfalismo e dall’autocompiacimento; ed i clandestini lo incoraggiano ad essere tenace quando sono in gioco i principi fondamentali e la libertà delle coscienze. Questo sesto giornalista – conclude Brajnovic – è consapevole che il proprio lavoro deve servire a un diritto universale, al progresso umano, alla creazione dei valori che si riferiscono alla cultura ed alla convivenza di tutti i cittadini, per tutti gli uomini e le società. È un giornalista – in sintesi – attrezzato dal punto di vista intellettuale e morale per svolgere il suo lavoro con onestà indiscussa” (la sottolineatura è mia).”
In conclusione, è necessario ritornare a parlare semplicemente di verità, senza aggiunte, senza aggettivi, intendendo con la “v” minuscola quelle verità particolari del giornalismo. Queste verità non sono lontane, anzi affondano le loro radici nella verità filosofica, teorica e pratica, nella verità artistica e anche nella verità di fede.
La verità giornalistica, minuta, umile e modesta, si scontra, come è evidente per chi si impegna a scoprirla e raccontarla, con numerosi ostacoli e difficoltà, sia interne che esterne. Dal punto di vista personale, richiede di liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi, di documentarsi, formarsi, di superare la paura verso le figure di potere e di evitare imprudenze e eccessi di fiducia nel proprio giudizio. Dal punto di vista esterno, impone di aggirare la censura, legale e di ambiente; di destreggiarsi fra la disinformazione, le filtrazioni fuorvianti, le pressioni politiche ed economiche, anche quelle provenienti dalla propria azienda; e di disattendere i cliché, tra altre sfide.
In sintesi, osserviamo che la verità, anche quella “piccola” e concreta giornalistica, è sempre una scoperta che coinvolge non solo il giudizio ma l’intera persona.
Il dibattito sulle fake news e sulla post-verità, come il dibattito sull’obiettività, se vuole essere serio e fruttuoso, e non una semplice arma strumentale per delegittimare l’avversario con argomenti ad hominem, deve tornare a concentrarsi sulla verità, sulla nostra capacità di raggiungerla e di raccontarla, sia la verità filosofica o religiosa, sia la più minuta e umile verità giornalistica.
[1] https://www.edelman.com/trust-barometer (ultima visita 11.11.2019)
[2] Annalisa di Benedetto. “A chi diamo la nostra fiducia? La fiducia è tutto…anche per affrontare una crisi globale”, in FamilyandMedia, 12.01.2023
[3] “Come si informano le nuove generazioni italiane” (Demopolis per conto dell’Ordine dei Giornalisti, 2019): www.odg.it/come-si-informano-le-nuove-generazioni-in-italia-presentati-i-risultati-della-ricerca-demopolis/31835
[4] Michael Haller. Dentro la crisi di credibilità dei media europei, in European Journalism Observatory, 24.11.2015:it.ejo.ch/etica/dentro-la-crisi-di-credibilita-dei-media-europei (ultima visita 11.11.2019)
[5] Debra Heyne. Sharyl Attkisson Explains the Origins of the 2016 ‘Fake News’ Narrative in TedX Talk, in “PJ Media”, 14.02.2018: https://pjmedia.com/video/sharyl-attkisson-explains-tedx-talk-origins-2016-fake-news-narrative(ultima visita 11.11.2019)
[6] L’ultima riforma è del 2017 e le norme editoriali aggiornate, con una sezione speciale sugli standards in situazioni di “guerra,terrorismo ed emergenze” si può consultare nel loro sito: https://www.bbc.com/editorialguidelines/guidelines (ultima visita 13.11.2019). Per una storia della crisi e del rinnovamento del servizio pubblico audiovisivo britannico, vedere: P. Smith. Renovación de la Carta de la BBC y crisis del servicio público, in “Infoamerica”, 3-4, 2010. pp.155-171.
[7] Silvano Petrosino. Caso Meredith: come si “costruisce” una notizia, Avvenire, 11.10.2011.
[8] Gaye Tuchman (1978). Making News. A Study in the Construction of Reality, MacMillan Publishing Co., New York.
[9] G. Bettetini e A. Fumagalli, cit., p. 38
[10] Steven Maras: Objectivity in Journalism. Polity Press, Cambridge 2013
[11] Ob. cit. pp. 206-207
[12] Juan Ramón Muñoz Torres. “Objetividad y verdad. Sobre el vigor contemporáneo de la falacia objetivista”, in Revista de Filosofía, 27 (1), (2002): 161-190
[13] G. Maddalena e G. Gili (2018). Chi ha paura della post-verità. Effetti collaterali di una parabola culturale, Marietti, Bologna.