Da dove deve iniziare il manager del futuro?
Martedì 14 marzo 2017 è iniziato il Laboratorio Arss “Servant Management’ con una riflessione d’apertura a cura dell’ing. Roberto Apollonio, Internal Auditer Director di WindTre.
Il Manager e l’errore: quanto siamo consapevoli dei nostri errori e quanto desideriamo realmente correggerci e farci correggere? Solo manifestando apertamente questo atteggiamento otterremo dai nostri collaboratori una predisposizione positiva che contrasti la paura dell’errore e la conseguente attitudine a nasconderlo.
Riconoscere di aver sbagliato è sinonimo di debolezza? Il manager migliore è quello che non ammette errore da sé e dai suoi collaboratori o è vero il contrario?
Questi sono alcuni degli spunti di riflessione emersi nel primo workshop.
La gestione delle persone in azienda e la valorizzazione dei propri collaboratori sono temi sempre più legati all’efficienza delle persone e al miglioramento della produttività. Ma, nel cosiddetto People Management, quanta attenzione c’è davvero alla Persona (con la “P” maiuscola)? Quanto interesse c’è alla crescita dell’uomo oltre che a quella del lavoratore? È un tema di estrema rilevanza, che richiama altri concetti altrettanto importanti e attuali come ad esempio il work-life balance.
Essere non apparire
Quello che vogliamo approfondire oggi è la crescita umana della Persona che sta dietro, e che forse viene prima del manager. Roberto Apollonio fornisce delle direttrici chiave: “Essere, non apparire” è la sua frase d’esordio. Nella vita come nel lavoro è l’unico modo per ottenere credibilità ed essere accettati dalle persone, anche dai propri collaboratori.
Il binomio manager-errore sembra essere un tabù, come se, una volta assunte posizioni di grande responsabilità in azienda (e nella vita), ci si credesse invincibili e lontani dalla possibilità di commettere sbagli. La naturale conseguenza di un simile approccio è la tendenza a nascondere l’errore quando questo inevitabilmente si presenta …, perché l’errore è parte integrante del lavoro di ognuno, prima o poi capita a tutti di sbagliare. Un manager che sia anche un leader ha la responsabilità di far crescere i propri collaboratori secondo principi di onestà, sincerità e integrità, evitando di instaurare una cultura della colpa che porti ciascuno a sottrarsi alle proprie responsabilità.
Sono più forte quando riconosco l’errore e lo ammetto
Riconoscere di aver sbagliato non ci rende più deboli agli occhi dei nostri collaboratori e dei nostri capi, anzi il contrario. “Quando so di aver sbagliato, che succeda al lavoro con il mio capo o a casa con mia moglie o con i miei figli, non sono sereno e sento il bisogno di liberarmi. Solo ammettendo l’errore si riesce a ritrovare la serenità per lavorare bene e per essere un buon manager, un buon padre e un buon marito”. Certo, ci vuole umiltà per dire “ho sbagliato”, l’umiltà ci permette di dare spazio alla possibilità di sbagliare, ci consente di ammettere che siamo fallibili e quindi anche di riconoscere i nostri errori. Il manager umile è in grado di prendere decisioni importanti assumendosi le sue responsabilità ma al tempo stesso sa quanto sia importante che il consenso passi anche attraverso il confronto con i suoi collaboratori. Allo stesso tempo per poter correggere in modo efficace conviene farlo sempre singolarmente. In gruppo è necessario intervenire solo nei momenti in cui è necessario un chiarimento tra più persone per tentare di riportare i rapporti nella normalità.
“Sta tutto nel proprio essere”: certamente il contesto conta molto, ed è facile trovare ambienti aziendali molto competitivi o nei quali addirittura l’errore possa essere usato come arma contro chi lo ha commesso, come ad esempio accade per la professione di avvocato o consulente o medico, dove addirittura un errore può estrometterti dal mercato, ma in ogni caso “è la struttura morale che permette di ammettere l’errore”.
Vince l’uomo o vince il professionista?
D’altra parte, il contesto e il team possono anche facilitare l’accettazione dello sbaglio e aiutare a trarne validi insegnamenti. L’etica di gruppo, cioè la condivisione di uno spirito che sostiene il prossimo tanto nella valorizzazione dei propri talenti quanto nel rialzarsi dopo un insuccesso, permette a ciascuno non solo di ammettere l’errore, ma di condividerlo per farne quella che si chiama una lesson learned. Per facilitare questa prassi potrebbe essere utile creare un accountability dell’errore per relativizzare alcune tipologie di errore e per concentrarsi solo su quelli importanti per la vita dell’azienda e del gruppo di lavoro a cui si appartiene.
Forse si tratta di sottrarsi, una volta per tutte, a quel dualismo che deve veder vincere o l’uomo o il professionista e che richiede sempre di sacrificare una parte per soddisfare l’altra. Forse dobbiamo smettere di essere Dr. Jekyll nella vita e Mr. Hide nel lavoro, è arrivato il momento di far intrecciare, in un’ottica win win, umanità e competenza, integrità e abilità, sincerità e perizia.